Nomadi digitali in cerca di meta, basta la vista mare?

Nomadi digitali in cerca di meta, basta la vista mare?

È il 2022 l’anno che passerà alla storia perché avremo vissuto ovunque? Secondo Airbnb, la piattaforma famosa per la ricerca degli alloggi temporanei, assolutamente sì, ma non è la sola. La startup californiana ha lanciato l’anno scorso un programma internazionale intitolato “YearOfLivingAnywhere” – #YOLA – e rivolto alla ricerca di 12 individui disposti a vivere per 12 mesi in viaggio e a trovare alloggio solo tramite la piattaforma.

Il report dell’azienda su “viaggi e stili di vita” ha evidenziato che i soggiorni di almeno 28 giorni sono aumentati del 10% rispetto al 2021, solamente tramite i loro canali. L’11% di coloro che hanno prenotato questi soggiorni a lungo termine definiscono il loro stile di vita “nomade” e su questo gruppo di persone Airbnb ha deciso di puntare. I dati raccolti dall’azienda evidenziano che in molti sono interessati a vivere in un luogo diverso da quello del proprio lavoro anche una volta terminata la pandemia. Il fenomeno dei cosiddetti “nomadi digitali” esiste e sarebbe destinato a durare.

Di questa tendenza ha preso atto anche il legislatore italiano che con la legge di conversione del decreto Sostegni-ter (DL 4/2022), approvata lo scorso 28 marzo, prova a rivolgersi e ad attrarre tutti quei lavoratori extra UE “altamente qualificati”, autonomi o impiegati in un’impresa straniera e nella posizione di poter lavorare da remoto. Per loro sarà possibile entrare in Italia con un visto d’ingresso specifico della durata non superiore a un anno e non verranno, quindi, conteggiati nelle quote annuali del decreto flussi che prevedono un massimo di 69.700 persone. La novità più importante è il fatto che per loro non sarà previsto l’obbligo del nulla osta, ossia la richiesta di autorizzazione al lavoro; ma dovranno attivare semplicemente un’assicurazione sanitaria e rispettare le disposizioni fiscali e contributive italiane.

Ma chi sono i nomadi digitali? Potresti essere portato a pensare che si tratta solo di giovani, single e cosmopoliti, ma non è così. Al concorso lanciato da Airbnb hanno partecipato 314.000 persone e ne sono state selezionate 12. Tra di loro c’è una coppia di genitori, con figli ormai grandi, che ha deciso di cambiare vita, famiglie giovani o “multigenerazionali”, imprenditori, ricercatori, sportivi e studenti. Insomma, un gruppo variegato accomunato dalla voglia di conoscere il mondo e dall’apprezzamento della flessibilità. Secondo il rapporto sul nomadismo digitale in Italia, il lavoro da remoto è preferito soprattutto dalle donne tra i 25 e i 44 anni e le regioni del Sud rappresentano le destinazioni ideali.

Non è un caso che lo scorso marzo Randstad, azienda leader nei servizi dedicati alle risorse umane, ha siglato un protocollo d’intesa con l’associazione South Working per agevolare la ricerca di lavori da remoto nelle aziende del Nord Italia rimanendo a Sud. Sul sito è quindi possibile fare la ricerca inserendo il tag #southworking. Inoltre esiste un disegno di legge che punta a ripopolare i piccoli comuni offrendo agevolazioni fiscali a coloro che decidono di spostare la loro residenza in questi luoghi per svolgere il loro impiego da remoto, ma in questo caso il nomadismo non è contemplato perché bisogna scegliere di fermarsi per almeno 5 anni.

È, tuttavia, sufficiente la bellezza paesaggistica ad attrarre gli smart worker? No. Lo smart working  è un fenomeno molto più ampio per il quale non basta un semplice computer e una stanza vista mare – o monti. In primo luogo dovremmo far chiarezza sul significato del termine, che traduciamo erroneamente con lavoro agile e spesso confondiamo con il telelavoro. “Smart” è un acronimo che sta per: specific (specifico), mesurable (misurabile), achievable (raggiungibile), relevant (rilevante), time-bound (limitato nel tempo). Si tratta di una modalità di lavoro basata sul raggiungimento di obiettivi specifici e bisognerebbe interrogarsi su quali siano gli strumenti necessari per raggiungerli in modo da diventare competitivi sullo scenario internazionale.

Tra i paesi preferiti dei nomadi digitali ci sono l’Indonesia, l’Estonia, la Spagna con Barcellona. Sono realtà che stanno investendo sull’innovazione, più che sul turismo. L’obiettivo è ripensare l’ufficio fisico in modo da favorire il processo creativo. È bene sapere allora che a Singapore hanno costruito un grattacielo, il CapitaSpring, di 280 metri dove gli uffici sono immersi in un’oasi tropicale e vengono usate nuove tecnologie per il controllo ambientale. Sul versante indiano dell’Himalaya, nel Bengala occidentale, c’è il retreat Pankhasari, uno spazio dedicato al co-working e al co-living. Nel complesso è possibile trovare strutture in cui vivere, praticare sport, lavorare e addirittura coltivare, il tutto costruito secondo una logica che rispetta l’ambiente e la popolazione locale. Così i nomadi digitali sono attratti non solo dalla connessione ad alta velocità, ma anche dalla possibilità di entrare in contatto con realtà internazionali caratterizzate da un’altra professionalità. Perché, in fondo, è l’incontro che ci permette di innovare davvero.

 

 

Photo by Shridhar Gupta on Unsplash

Pubblicato il 28/04/2022 alle ore 10:36

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